brand journalism in italia

Il brand journalism in Italia: “Italian Shoes”

Si dice brand journalism e si pensa agli esempi, citati ovunque, di multinazionali e marchi famosi. Ma non lo fanno solo i “grandi”: ci sono aziende e organizzazioni di ogni dimensione, anche nel nostro Paese, che hanno deciso di dare vita a iniziative editoriali di informazione. Con questo articolo iniziamo un percorso alla scoperta dei progetti (finora) meno noti, ma altrettanto interessanti e ben fatti, di brand journalism in Italia.

«Volevamo raccontare il “bello e ben fatto italiano” con un taglio giornalistico, senza promuovere i brand né fare pubblicità.» È nato così, nel 2016, Italian Shoes, il progetto editoriale di Assocalzaturifici, l’associazione di categoria del settore calzaturiero italiano, come racconta Tommaso Cancellara, direttore generale dell’associazione e ad di Anci Servizi (la società che organizza il Micam, nota fiera internazionale delle calzature). È stato Cancellara, tre anni fa, a voler creare un magazine: «C’erano dei fondi ministeriali per lo storytelling e l’idea iniziale era quella di produrre dei video. Io però volevo un racconto continuativo, che seguisse l’evoluzione della scarpa italiana e che fosse neutrale e distante dai marchi, per far emergere la cultura e il saper fare italiano. Abbiamo quindi pensato a un magazine online, che avesse da subito un taglio informativo e non commerciale, senza pubblicità né articoli a pagamento, con l’obiettivo di crescere come mezzo di informazione.»

Il progetto giornalistico

Tommaso Cancellara, direttore generale di Assocalzaturifici

Il progetto di brand journalism di Assocalzaturifici ha affrontato subito due decisioni cruciali: il nome e il direttore. Italian Shoes è sembrata una scelta quasi obbligata, un nome iconico per richiamare immediatamente la calzatura made in Italy anche a livello internazionale, come conferma il volume di ricerche su Google e l’interesse per l’hashtag omonimo su Instagram.

Flavia Colli Franzone, direttore responsabile di Italian Shoes

Non altrettanto scontata, invece, era la scelta del direttore. «Volevo qualcuno che sapesse scrivere e affascinare i lettori e che avesse passione per il mondo della calzatura», precisa Cancellara. «Ho scelto una giornalista che incontravo a tutti gli eventi, molto attenta ai trend, con una storia professionale in questo settore e una grande conoscenza tecnica.»
A dirigere Italian Shoes fin dall’inizio è Flavia Colli Franzone, giornalista professionista, che conferma di aver accettato, tre anni fa, proprio perché si trattava di un progetto giornalistico: «L’abbiamo sempre chiamato magazine, era chiaro da subito che non sarebbe stato un sito o blog, che spesso sono solo un’accozzaglia di notizie e redazionali di aziende. Italian Shoes è una rivista online di costume, cultura, lifestyle con un taglio da mensile: abbiamo notizie di attualità e rubriche di approfondimento.» Flavia Colli Franzone tiene a sottolineare l’autonomia del suo ruolo: «Faccio la giornalista come ho sempre fatto, scelgo io le notizie e gli argomenti senza imposizioni di alcun tipo. Al contrario, nei giornali di moda ci sono spesso vincoli dettati dalla pubblicità e dagli inserzionisti, le cosiddette “marchette”, e molte testate, soprattutto di nicchia, vivono di questo. Da brand journalist sono molto più libera, perché non abbiamo annunci pubblicitari né pubbliredazionali.»

Italiane o straniere, ma sempre made in Italy

A Italian Shoes, in realtà, un vincolo c’è ed è quello di parlare solo di scarpe prodotte in Italia: una scelta editoriale che include non solo i marchi nazionali, ma anche molti dei brand francesi e americani più famosi, come Christian Louboutin, Louis Vuitton, Dior, Manolo Blahnik. Gli stranieri, infatti, spesso scelgono di produrre nei distretti della calzatura presenti nelle nostre regioni, una realtà tipicamente italiana che non esiste negli altri Paesi.

Il magazine tuttavia non parla solo di marchi celebri, ma anche di aziende sconosciute che hanno prodotti in linea con i concetti attuali di moda e stili di vita e che meritano di essere valorizzati, o di artigiani che fanno ancora le scarpe a mano e impiegano quattro giorni per realizzarne un singolo paio. E non si occupa solo di moda, ma anche, per esempio, delle scarpe da golf e da ciclismo di altissimo livello che si producono solo in Italia.

Oltre alle notizie di attualità e ai classici reportage di sfilate e passerelle, ci sono le rubriche di approfondimento, come “Heritage”, che racconta le imprese calzaturiere italiane con almeno 50 anni di vita, o “Vocabolario” (dalla B di Ballerine alla T di “tamponatura a mano”), o ancora quella dedicata ai nuovi talenti e alle loro creazioni.

A realizzare Italian Shoes è una redazione di tre persone più un collaboratore esterno, affiancati da un’agenzia che cura la parte creativa e tecnica; inoltre c’è un team dedicato alla comunicazione del magazine.

Il pubblico: giovane, donna e internazionale

Giunto al terzo anno di vita, il magazine è un significativo esempio di brand journalism in Italia. Ha raggiunto i 315 mila utenti provenienti da circa 40 nazioni; le più rappresentate, oltre all’Italia, sono Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Spagna, Russia. Il pubblico è composto al 70 per cento da donne ed è in media abbastanza giovane: la fascia di età 25-44 anni copre circa la metà del totale. Italian Shoes è presente anche sui social media: la pagina Facebook ha una fanbase di oltre 64 mila persone, mentre il profilo Instagram supera i 9400 follower.

Tra il pubblico che segue il magazine ci sono anche le aziende del settore: «Abbiamo ottimi riscontri dalle imprese, che apprezzano il nostro taglio informativo e non commerciale», sottolinea Tommaso Cancellara, «e anzi ripubblicano i nostri articoli sui loro siti e canali sociali e li riutilizzano per raccontare se stessi.»

Alla ricerca della sostenibilità

Quali difficoltà ha affrontato il progetto di Italian Shoes? «Difficoltà vere e proprie non ne abbiamo avute», continua Cancellara, «certo abbiamo spesso aggiustato il tiro osservando il comportamento dei nostri lettori, per esempio per capire quali rubriche funzionano e quali meno. A volte abbiamo anche dovuto tenere duro per educare il lettore a ciò che siamo: sarebbe più facile parlare solo di marchi, celebrità e passerelle, mentre noi vogliamo essere il punto di riferimento per l’informazione sul mondo della calzatura con credibilità e autorevolezza. In Italia siamo bravissimi a fare, ma non altrettanto a raccontare: noi vogliamo raccontare l’industria italiana.»

A tre anni dall’inizio, il prossimo obiettivo di Italian Shoes sarà la sostenibilità, ma senza modificare il progetto originario: la pubblicità resta esclusa. Cancellara pensa a due possibilità: «La prima è quella dell’infocommerce, ovvero mantenere il taglio informativo, ma aprendo a una collaborazione con l’e-commerce dei brand. Gli articoli rimangono indipendenti e sono sempre scritti dalla redazione: alla fine, si aggiunge una call to action che consiste in un link all’e-commerce dell’azienda di cui si parla. In pratica, è un servizio aggiuntivo al lettore, che già di sua iniziativa cerca i marchi su Internet.» La seconda possibilità è quella di sviluppare sinergie con i media tradizionali per fornire contenuti specializzati sul settore della calzatura, per esempio una rubrica in un giornale di moda. «L’autonomia e il taglio giornalistico per noi restano comunque irrinunciabili», assicura il direttore generale di Assocalzaturifici, «non intendiamo snaturare il magazine.»

Consigli per fare brand journalism in Italia

Infine, due suggerimenti per le aziende che vogliono creare progetti di giornalismo d’impresa: «Di sicuro c’è spazio per il brand journalism in Italia», ribadisce Tommaso Cancellara, «e anzi può essere sviluppato di più.  I miei consigli sono due: innanzitutto, trovare una nicchia e investire su un progetto verticale; in secondo luogo, non prendere ragazzini digitali, ma affidarsi a un giornalista. Avere un professionista è fondamentale.»

MARIALETIZIA MELE
Le immagini sono di Italian Shoes.

Questo articolo è stato pubblicato anche su DataMediaHub.



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