Il brand journalism spiegato da chi l’ha inventato

Che sia stato Larry Light a coniare l’espressione brand journalism nel 2004, per presentare il nuovo approccio di McDonald’s al marketing, è cosa nota. Altrettanto nota e ripetuta ovunque è la sua definizione di brand journalism come “cronaca degli eventi che accadono nel mondo di un brand.”

Quello che spesso, invece, non viene raccontato è come e perché Light scelse proprio il giornalismo come strumento per rilanciare una grande azienda in forte crisi. Senza conoscere i motivi che portarono a questa svolta epocale, non si possono comprendere né la definizione, né l’essenza del brand journalism.

La nascita del brand journalism è la storia di una rivoluzione e di un cambio di mentalità.

“Come McDonald’s inventò il brand journalism e come il brand journalism salvò McDonald’s”

È questo il titolo del primo capitolo (“How McDonald’s invented brand journalism and how brand journalism saved McDonald’s”) del libro di Andy Bull, che racconta con dovizia di particolari come Larry Light, Chief Marketing Officer di McDonald’s, arrivò a creare una strategia di comunicazione rivoluzionaria e decisiva per le sorti del più famoso brand di fast food.

“Nel 2003, McDonald’s era una multinazionale in declino”, ricorda Andy Bull. “I ristoranti erano trascurati e obsoleti, il personale era male addestrato e demotivato, il cibo veniva prodotto guardando al risparmio, non alla qualità, ed era diventato anacronistico in un periodo in cui stava crescendo rapidamente la consapevolezza verso una alimentazione salutare. E, quel che è peggio, il management non vedeva il problema.” Nel marzo 2003, un articolo di Bloomberg, dal significativo titolo di “McDonald’s Hamburger Hell”, dava un giudizio sferzante: “Per decenni, McDonald’s è stato una forza inarrestabile. Ma oggi McDonald’s è un gigante che vacilla, barcollando da un caos all’altro.”

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Larry Light, ex Global CMO di McDonald’s (2002-2005)

Poco più di un anno dopo, nel giugno 2004, alla conferenza AdWatch: Outlook 2004 organizzata a New York da Advertising Age, Larry Light dichiarò che erano ormai finiti i tempi del marketing di massa e del brand positioning: “Un brand è multidimensionale: un unico messaggio, una sola comunicazione non possono raccontarlo interamente.” Light annunciò che McDonald’s aveva adottato un nuovo approccio al marketing, che chiamò brand journalism.

Una rivoluzione a colpi di giornalismo

La nuova strategia di comunicazione fu rivoluzionaria proprio perché si fondava sul giornalismo, invece che sul marketing classico. Come ricorda lo stesso Larry Light, a distanza di anni, in un articolo sul Journal of Brand Strategy, “i posizionisti intransigenti e tradizionalisti si rifiutavano di capire che il brand journalism non era dannoso per i brand, ma enormemente utile. Come gli ecclesiastici ai tempi di Galileo, si rifiutavano di guardare nel telescopio per vedere le meraviglie del nuovo universo del marketing.”

Light scelse il giornalismo come strategia di comunicazione perché era quella che meglio si adattava a comunicare la realtà multidimensionale e sfaccettata di un grande brand. Un brand, spiegava Light, assume significati diversi a seconda delle persone, dei luoghi, delle situazioni: bisogna quindi trovare una comunicazione che sia in grado di raccontarne tutti gli aspetti, con messaggi differenziati in base al pubblico.
Sintetizzato in quattro parole: think like a journalist.

“L’idea è di pensare come un giornalista, pensare alla comunicazione come alla creazione di un magazine del brand, dove ogni articolo è diverso, ogni edizione è diversa per ogni regione, con argomenti e temi diversi, che si uniscono tutti in modo dinamico, interessante, rilevante e coerente.”

Da qui nasce la sua celebre definizione (già esaminata nel dettaglio in un altro articolo):

“Il brand journalism è la cronaca degli eventi che accadono nel mondo di un brand, attraverso i giorni e gli anni. E’ così che creiamo per il brand un reale valore percepito dal cliente.”

E su questo punto è necessario sottolineare che il brand journalism non è “la storia dell’azienda”, come spesso si legge in affermazioni frettolose e imprecise, ma la cronaca del brand.  Non è la narrazione di un passato, per quanto glorioso: il brand journalism è il racconto “attraverso gli anni” di ciò che accade nel mondo del brand, in cui il protagonista non è l’azienda, né i suoi prodotti, ma il suo pubblico. Come sottolinea Light, solo così si crea valore per il cliente e quindi per il brand.

Del giornalismo Light utilizzò anche gli strumenti e le tecniche, a cominciare dalla regola fondamentale delle 5W, who, what, when, where, why. Scrive ancora Andy Bull: “Mentre i giornalisti usano questa formula per raccontare una storia, Light la usò per strutturare una strategia di marketing, per identificare i segmenti di mercato, definire i loro bisogni e soddisfarli.” Come i giornalisti adattano i contenuti e lo stile alle diverse nicchie di lettori, così anche la comunicazione del brand deve adeguarsi ai diversi tipi di pubblico, strutturando messaggi che tengano conto non solo di chi sono e che cosa fanno i suoi cliente, ma anche di dove, quando e perché interagiscono con il brand.

Cambiare la mentalità

Nel 2004, il nuovo approccio di Larry Light segnò per McDonald’s un rinnovamento profondo, che investì tutti gli aspetti della comunicazione, compresa la ristrutturazione dei ristoranti e la formazione del personale, e fece uscire l’azienda dalla situazione di declino in cui si trovava solo un anno prima.

“Doveva cambiare la mentalità: da vendere ciò che vogliamo offrire, a offrire l’esperienza che i clienti vogliono.”

Il brand journalism fu l’agente di questo cambiamento: nelle parole dello stesso Light, si trattò di passare “dal tradizionale approccio del marketing e della pubblicità focalizzato su un messaggio unico e ripetitivo, a un flusso di contenuti, con messaggi multidimensionali, attraverso molteplici canali, per molteplici pubblici”.

Il cambio di mentalità è evidente: da una comunicazione univoca e unidirezionale, a una comunicazione incentrata sugli interessi dei destinatari, sull’interazione, sulla conversazione. Anche questo è uno dei principi fondamentali del giornalismo: i padroni sono i lettori, è per loro che si scrive e si pubblica il giornale. Trasferito nel brand journalism, significa non raccontare “la storia dell’azienda”, non parlare dei propri prodotti, ma interessare il pubblico, coinvolgerlo, divertirlo attraverso contenuti creati appositamente per ogni audience.

Perché un brand non può fare a meno del brand journalism

Dieci anni dopo la sua rivoluzione nel mondo del marketing,  Larry Light ha ripercorso su Advertising Age la nascita del brand journalism e delineato il suo impatto sul brand management. Light sottolinea che oggi il brand journalism è un approccio di comunicazione ancora più rilevante e irrinunciabile per un brand:

  1. il brand journalism attira e coinvolge i consumatori, grazie a un flusso continuo di contenuti di valore, creando per il brand una storia che evolve nel tempo;
  2. il brand journalism è lo strumento per conversazioni multidimensionali e multidirezionali, incentrate sulla condivisione delle informazioni;
  3. il brand journalism unisce le competenze del brand management e del giornalismo in una comunicazione vitale, che parla agli interessi dei consumatori: è il motivo per cui un brand deve sempre più “pensare come un giornalista”.

La sintesi di Larry Light non lascia spazio a dubbi:

“Il brand journalism è l’imperativo del marketing contemporaneo.”

Marialetizia Mele
L’immagine di apertura è di  Kelly Sikkema su Unsplash.



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